29th mar2013

50 anni e non sentirli, che sia diventato sordo?

by Francesca

 

Se (ma si può iniziare con un se?) hai deciso di puntare tutte le tue carte sulla sregolatezza perché  ti sei reso conto che il genio non fa proprio per te.

Se (ma si può continuare con un se?) qualcuno ancora nel sonno del mattino ti dice che ormai hai quasi cinquantanni (ma quanta cattiveria c’è al mondo….) e te speri tanto sia uno scherzo di Carnevale, non ti resta che verificarlo direttamente proprio nella città per eccellenza del Carnevale, Viareggio.

Mi (si, con un mi si può iniziare, è tutta un’altra musica!) sono convinto. Solo Viareggio può darmi la sicurezza se ho cinquantanni per scherzo o per davvero. E allora parto per Viareggio. Bici+treno mi sembra la soluzione migliore. Il treno lo prendo alla stazione di Prato. Con me ci sono tanti  ragazzi. Scenderanno tutti a Montecatini perché devono andare ad un Istituto Tecnico. Uno di loro, isolato, mi guarda come se fossi un marziano (è noto che i marziani si vestono tutti con la tuta aderente elastica da ciclista di colore nero). Nel treno ci sono anche tanti ragazzi di colore (nero per l’esattezza) che tutti insieme ridono e scherzano (forse anche del fatto che la tuta è dello stesso colore della loro pelle). Scenderanno con me e con i loro borsoni a Viareggio.

A Viareggio non c’è scherzo che tenga (nemmeno a Carnevale): la stagione dura tutto l’anno. Ho fame. Girello nella zona intorno al mercato in cerca del bar giusto dove fare colazione. Faccio vari appostamenti. Prima di entrare in un bar che non conosco faccio sempre degli appostamenti. Sono necessari per individuare con precisione un bar frequentato da gente del posto. Mi piacciono i bar dove, oltre al cappuccino con la brioche, consumi anche i sorrisi ed i saluti di un barista. Alla fine, dopo una mezzora buona di vari appostamenti, entro in un bar con la scritta caffè Tubino. Non è andata bene, perché il barista saluta e sorride solo a quelli di Viareggio. A Viareggio è nuvoloso e fa freddo, ma in giro c’è lo stesso tanta gente (e tutti si salutano e si sorridono solo tra di loro…razzisti!). Finalmente arrivo a pedalare sul lungomare di Viareggio. Minaccia di piovere. Controllo nelle sacche se c’ho l’occorrente per la pioggia. Ce l’ho! Di fronte agli spalti (vuoti) per il pubblico del corteo dei carri del Carnevale di Viareggio mi fermo a comprare un giornale. Leggo la data: 12 gennaio 2013 e capisco che non era uno scherzo, domani compio cinquantanni. Non mi abbatto e ricomincio a pedalare. D’altra parte ormai Viareggio sta qui con me come i miei cinquantanni. Di fronte all’ingresso del nuovo molo del Lido saluto gli amici del treno che ora hanno aperto per strada i loro borsoni. Contraccambiano il saluto. Scendo di bici e la spingo per andare sul  molo.  Bello il molo del Lido. Non c’ero mai stato. Il vento, il mare increspato, lo sfondo bianco delle Apuane, il vento, la minaccia di una pioggia imminente, sono la scenografia naturale per farsi tante domande (tipiche per un cinquantenne) sul senso della vita, ma io c’ho fame e le domande a stomaco vuoto non promettono nulla di buono. Risalgo sulla bici e con il vuoto nello stomaco pedalo sulla pista ciclabile del lungomare verso Nord. A Fiumetto ci sono tante giostre per bambini. Sono tutte aperte. Girano cavallini, draghi, elefantini, carrozze, ma non c’è traccia di essere umani né finti e né veri. Mi guardo intorno, ci sono solo io, la mia bici e la pioggia imminente. Forse sono rimaste aperte dalla scorsa Estate e nessuno se ne è accorto. Penso a questo quando il clacson di una macchina, la pioggia che comincia a cadere e la fame mi riportano fortunatamente alla realtà. Però un dubbio mi rimane perché mi volto e le giostre continuano a girare da sole senza che nessuno le guidi. A Pietrasanta mangio tanto e bene e sempre dolci e sempre dentro un bar. Niente appostamenti questa volta. Fuori piove a dirotto. Mi fa compagnia una barista. Anche lei non mi sorride (paese che vai, sorridi che non trovi!). riparto sotto una pioggia enorme. Sono bardatissimo.  L’unica  umidità che sento è quella del sudore. Rifaccio all’indietro lo stesso percorso e rido. Non smetterò di ridere nemmeno alla stazione di Viareggio dove perderò il treno e dovrò stare più di un’ora fermo ad inventarmi il modo per passare il tempo. Già, il tempo passa. Ma che me frega. Il tempo che passa non lo sento. Ora ne sono convinto! Però mi viene un dubbio: che sia diventato sordo?

 

Dimenticavo.

Un sorriso viareggino alla fine lo vedrò. Sarà quello della capotreno che mi dirà che ho messo male la bici nel vagone del treno.

 

Giovanni Grossi 

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20th feb2013

La bici di Jennifer

by Francesca

Anna ha diciotto anni e si sente tanto sola, ha la faccia triste e non dice una parola, tanto è sicura che nessuno capirebbe e anche se capisse di certo la tradirebbe. 

Così cantava Eugenio Finardi diversi anni fa ne la musica ribelle, quella dove lui, molto milanesemente invitava a mollare le menate e mettersi a lottare.

Anche Alex ha diciotto anni e si sente tanto sola (ma in fondo forse non poi tanto), ma vive dall’altra parte dell’Oceano, in America e precisamente a Pittsburgh ed ancor più precisamente in un magazzino dismesso, con il suo enorme pitbull. Alex lavora come operaia di giorno e come ballerina in un locale di notte. Alex non si sente poi tanto sola perché ha un sogno. Il suo sogno è danzare all’accademia di ballo di Pittsburgh. Prova e riprova i passi, esercitandosi anche nelle sue esibizioni notturne ed ha un’insegnante che da sempre la incoraggia a realizzare il suo grande sogno. Un giorno, convinta di aver trovato la coreografia giusta si reca al Conservatorio per cercare di ottenere un’audizione per iscriversi ma immediatamente si accorge di non avere nessuna preparazione di base, poiché non ha mai frequentato una vera scuola e quindi, scoraggiata, rinuncia. Ci riproverà ed alla fine coronerà il suo sogno. Alex non è altro che Jennifer Beals, protagonista del film Flashdance. La famosa scena finale del film, con lei che cade e si rialza, con la giuria che prima è distratta e poi sempre più coinvolta nella musica e nella danza è stata ripresa anche da una celebre pubblicità. Alex/Jennifer è stata per me un punto importante nella mia educazione ciclistica. Magari qualcun altro sarà rimasto attratto dalle sue capacità artistiche, dalla sua avvenenza (Nanni Moretti compreso, qualche anno dopo quando fece fare a Jennifer una piccola apparizione nel film Caro Diario), ma io no!

Mi dispiace per gli altri, ma io rimasi affascinato dal fatto che Alex/Jennifer andava tutte le mattine a lavorare in fabbrica con la bici, con tutti i tempi ed in tutte le stagioni: così come Anna ascoltava la musica ribelle e mollava le menate per mettersi a pedalare, Alex/Jennifer andando in bici tutti i giorni trasformava la sua bici in una bici ribelle e mollava le menate per mettersi a pedalare. La sua era una bella bicicletta da corsa. Una bicicletta da corsa particolare, con un portapacchi sopra la ruota anteriore, dove lei sistemava il casco che le sarebbe servito a lavorare. Si tratta di una bicicletta che viene comunemente definita da corsa perché ha il manubrio delle biciclette da corsa, ma ha caratteristiche proprie delle biciclette da gran turismo o come dicono i francesi da gran randonneè. In genere ha il telaio in acciaio, più adatto per chi deve stare sul sellino per tante ore. Non si sono tanti modelli in commercio in Italia. Sono bici per lunghe distanze e cioè per chi pensa alla distanza e non al tempo che ci mette a percorrerla. Sono bici però adatte anche a percorsi cittadini e quotidiani. Insomma sono bici da usare come mezzo di locomozione i giorni feriali ed i giorni festivi. Per fare un giro la domenica o per andare a lavorare, in modo da provare sempre piacere, anche quando stai andando a fare il tuo dovere.

Sempre con la stessa bici.. Fedeli. Ed io ogni giorno che Dio mette in terra, al mattino quando parto in bici per andare al lavoro, penso a Jennifer Beals.

Giovanni Grossi

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08th feb2013

Ultime Visioni: I ricordi del mio ultimo viaggio con il Tandem scritti come mi son ritornati in mente

by Francesca

 I sorrisi di tutti noi più quello di Emiliano Fossi alla partenza dalla pista ciclabile di via Barberinese a Campi Bisenzio. La benedizione di donna Carmen. L’incontro con il sorriso a mille denti di Cipollini che si allena sulla salita di Sasseta sopra Vernio. Il forno di Montepiano che fa i biscotti buonissimi, ma che era chiuso. La salita infinita verso il Monte Sole e la nostra fatica che si mescolava con i silenzi dei luoghi della strage di Marzabotto. I nostri silenzi al racconto della distruzione sistematica di una comunità da parte dei nazisti con la complicità dei fascisti italiani (questo non va dimenticato mai!) nei luoghi dove le persone credevano di essere al sicuro, in chiesa, al cimitero, nella scuola e cioè nei luoghi della vita e della memoria di una comunità. La rabbia e la lucidità di Edda, una splendida ottantenne che ci ha accompagnato nel sacrario di Marzabotto. L’incontro con il Sindaco di Marzabotto nella bella sala consiliare. Le bestemmie (laiche) quando la prima sera io e Sandro abbiamo aperto il sacco della tenda e mi sono accorto che mancavano dei pezzi e mio figlio, l’ultimo che l’aveva usata, non mi aveva detto niente! Le spalline gialle ricamate del reggiseno della Bernadette, la cameriera del ristorante il Poggiolo. Il sorriso, gli occhi e le parole della barista del bagno Miramare di Eraclea Mare. La bellezza del Palazzo dei Diamanti a Ferrara. I ciottoli di via corso Ercole I d’Este. Le biciclette dappertutto (anche sui ciottoli del corso) e le rastrelliere senza nessun rottame. Quella sera che ci siamo persi a Ferrara e per tornare al campeggio abbiamo dovuto camminare per tutte le mura. Il pedalar lento e tranquilo sull’argine del Po lungo la pista ciclabile più lunga d’Italia. La festa degli asparagi a Mesola. Esorcizzare la pioggia cantando a Chioggia: “scende la Chioggia ma che fa, crolla il mondo intorno a me, per amore sto morendo”, ed accorgersi contenti come bimbi che vien fuori il sole. Pedalare sull’isola di Pellestrina; i panni stesi  di Pellestrina; le barche di Pellestrina; la pista ciclabile di Pellestrina; la tranquillità di Pellestrina; il borgo di pescatori di Pellestrina; la bellezza sospesa e senza tempo di Pellestrina; il pensiero che Pellestrina è Venezia più piccola senza turisti. Lisiano che dice dopo tre ore che pedalavamo tra paludi, canne e uccelli: “io non sono per l’aria bona”. Il silenzio intorno a Lisiano quando Lisiano dice qualcosa. Le risate di tutti dopo che Lisiano ha detto qualcosa. La mia incazzatura eccessiva a Venezia perchè non mi avevano aspettato per mangiare e il mio senso di colpa successivo (anche questo eccessivo). I sardoni e le seppie con la polenta, i gamberetti con la polenta, le ombre a giro per venezia, il caffè a Florian in piazza S. Marco, i gondolieri che aspettano imbronciati i turisti giapponesi; i gondolieri ridenti che riparano le gondole. I bambini che corrono e giocano a pallone nella piazza del ghetto a Venezia (dove c’è un bambino che gioca a pallone con le porte fatte con gli zaini c’è vita!). La valigia sul letto (“quella di un lungo viaggio”) ogni mattina. Il vento in faccia in laguna. Il ciclista incontrato per caso che ci ha accompagnato per 30 km fino ad Aquileia. Il pedalare contro vento sul ponte tra Aquileia e Grado. La padrona dell’albergo di Grado che ci ha vietato di cantare la mattina a colazione. Il recinto  con tornelli a pagamento intorno alla spiaggia di Grado e la sua bellezza sequestrata per l’uso di pochi (avranno pure le loro ragioni, ma che tristezza!). Le prese di culo tra Lisiano e ‘i Bonechi. La ricerca di una tv per vedere la partita della Fiorentina contro l’Atalanta mentre pedalavamo sotto la pioggia verso Ferrara. Le botte di Delio Rossi a Lljaic in Fiorentina-Novara raccontate per telefono mentre eravamo sul vaporetto la sera a Venezia. La gioia nel vedere un viola club a Cavallino-Treporti. La gioia liberatoria del gol di Cerci contro il Lecce in un bar a Trieste. Siamo salvi! Forza viola sempre e comunque! L’accorgersi la sera, dopo una giornata passata a pedalare sotto il sole, di avere le mani abbronzate. Il panettiere della Lista Civica di Caorle. Selgio il cinese di Caorle. Quando Lisiano, con il semaforo rosso ha detto “vai, ora si può andare” ed il Bonechi c’è cascato…e Lisiano ha riso per chilometri !! (beh…non solo lui). La lepre che scappa, il cane che la rincorre, la campeggiatrice che rincorre il cane. I pranzi con i gran panini del Presidente, la chiesetta ed il bar chiuso che ha aperto per noi. Il bagno del I maggio. Il passaggio a Monfalcone sotto lo stadio intitolato a Callisto Cosulich (devo a lui, critico cinematografico del mitico quotidiano “Paese Sera”, la mia grande passione per il Cinema). Le forature, l’incontro con il meccanico di Jesolo, la catena che si rompe, insomma tutti gli intoppi meccanici che aldilà delle bestemmie (laiche) hanno avuto il potere di farci sentire ancora più uniti. L’arrivo a Trieste insieme agli amici di un’associazione di ciclisti di Trieste. Sdraiarsi a prendere il sole su un muretto a Trieste dopo aver pedalato da prima dell’alba ed essere stanchissimi. Il sole, i fuochi d’artificio, il compleanno di Sandro, lo spritz che costa meno di un bicchier d’acqua, i giovani la sera (tanti) a bere, mangiare e cantare tuttingiro a Trieste. Il racconto delle atrocità della risiera di San Sabba. Il ritorno con i nostri pulmini.

Grazie Antonio! Grazie a voi tutti miei amici del tandem!

Giovanni Grossi
in collaborazione con Simone (il Presidente), Francesca (la bolognese di Brozzi), Claudia (la cinese di Lamezia), Sandro (l’uomo che avrei voluto essere), Lisiano (l’uomo che invece, purtroppo e/o per fortuna, io sono), Fiorella (la saggia, ma non troppo), Alberto (l’unico ciclista vero), Silvano (l’organizzatore del viaggio), Jacopo (la roccia), Marco (l’inesauribile), Giovannino (ma quando ci decidermo a chiamarlo Giovanni e basta?)

 

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17th gen2013

Prime Visioni

by Francesca

 

Mi sono svegliato c’è una bicicletta che parte alle 6.40…ed io ci devo salire sopra. Non ho l’abitudine di guardare le previsioni meteorologiche. In ogni caso però a gennaio generalmente un po’ freddo fa. Sono già fuori in sella. Prima pedalata e prima canzone nell’iPod (stamani c’è Africa dei Toto; parto sempre con una canzone dei primi anni ottanta…mi ricorda quando avevo intorno ai venti anni).

E’ buio, fa freddo (non mi sbagliavo), ma dopo 100 metri di pedalate so già che non avrò più freddo. Infatti sul ponte sul Bisenzio le pedalate e l’Africa dei Toto fanno già il loro effetto. Nel centro storico di Campi ci sono solo camioncini in sosta per lo scarico delle merci, ma intorno ci sono solo le merci e non ci sono tracce del conducente-scaricatore. I primi esseri umani li trovo alla fermata dell’autobus all’altezza del bar Franco poco oltre piazza Dante. Son contento! Loro sono la testimonianza che il mondo è sopravvissuto alla notte. A dire il vero qualche dubbio che il mondo sia rimasto intatto dalla sera precedente mi viene alla rotonda in fondo a via Buozzi quando, in lontananza, vedo tutte illuminate delle enormi strane macchine di ferro che assomigliano ai tripodi del film la guerra dei mondi. Mi sento come Tom Cruise che stringe accanto a sè i suoi due figli per salvarli dall’attacco dei tripodi.. Nell’incertezza che nella notte ci sia stata veramente un’invasione di tripodi accelero sulla salita di ponte di Maccione. Mi calmo quando mi ricordo che quei tripodi in realtà non sono altro che delle gru in sosta nel parcheggio di un concessionario di macchine per l’edilizia. Dall’alto del ponte di Maccione la voce di Michael Stipe che canta “man on the moon” mi trasforma da ciclista che pedala sul grigio asfalto della strada dell’Osmannoro in un astronauta che pedala sul suolo beige della luna. Mi riporta sulla terra la vista casalinga della sagoma di case passerini. Sulla strada la vista delle luci rosse delle auto di fronte a me e di quelle bianche contro di me  mi trascinano per un attimo dentro un videogame.

Entro nella periferia di Campi Bisenzio (in fondo cos’è Firenze se non la periferia di Campi?). La bicicletta fila via che è un piacere. Ieri mattina c’erano dei cigolii strani che provenivano dalla catena, poi nel pomeriggio son passato da quel gran genio del mio amico che con un cacciavite in mano fa miracoli. In via Baracca trovo un po’ di traffico. Rallento. Ho la sensazione di essere già arrivato, ma non è così. Mi faccio forza ed all’altezza di via degli Allori decido di non adagiarmi sugli allori. Più avanti all’incrocio con via Baracchini  la vista della sede di Equitalia mi ricorda di aver qualcosa da pagare in arretrato. Per paura di essere beccato da un esattore di Equitalia scarto di lato come un bufalo in via del Barco piantando in asso Baracca e Baracchini. Alle Cascine il verde brillante del pratone del quercione e di quello delle cornacchie dimostrano in maniera lampante l’esistenza di dio. Le pedalate alimentano altre visioni di altri momenti vissuti alle Cascine, di concerti di Peter Gabriel, Lucio Dalla e Fabrizio De Andrè e di spettacoli dei Giancattivi e di Benigni in vecchie feste dell’Unità. Mi aspetta il semaforo della tramvia. Il passaggio della tramvia mi scaraventa felicemente in Europa. Attendo diligentemente il mio verde e poi riparto.

Sulla salitella della pista ciclabile che sovrasta il sottopasso di piazza Vittorio Veneto comincio a pregustarmi la visione dei lungarni: meno 3, 2, 1 eccoli! Alzo le mani dal manubrio e pedalo lentamente. Ora sono proprio arrivato! Sono le 7 e pochi minuti. Mi aspetta una nuova giornata di lavoro. In cuffia c’è una canzone di cui non ricordo bene le parole. Mi sembra faccia così: pedalare un po’ è come bere; più facile è respirare.

Giovanni

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10th gen2013

Penne in Tandem

by Francesca

Oggi inauguriamo la nostra prima rubrica.

A scriverla siamo in due. Ma speriamo che a leggerla si sia un pochini di più. Un    Giovedì per uno a partire dal prossimo. Però la potete leggere anche il venerdì o il sabato o uno qualsiasi degli altri giorni. Non siamo pignoli.

Ad ogni modo oggi l’abbiamo (o meglio, la stiamo) scrivendo tutti e due insieme. Se    avrete il tempo, la voglia e la pazienza di leggerci troverete in queste righe pensieri e parole di due ragazzi (più o meno) o di due uomini (più o meno) che vanno in bici tutti i giorni (non solo il giovedì della rubrica). Siamo ciclisti a tempo pieno e in questi tempi di precarietà ci piace pensare anche a tempo indeterminato. Ci piace definirci ciclisti rampanti in onore di Cosimo Piovasco di Rondò, il Barone rampante protagonista del romanzo omonimo di Italo Calvino, che ad un certo punto decide di passare il resto della sua vita sugli alberi. Lui sempre sugli alberi e noi sempre in bici (in fondo non c’è poi tanta differenza). Pedaliamo i giorni feriali ed i festivi ci riposiamo. Lo facciamo anche quando piove e fa freddo, perché a differenza di quanto si possa pensare, l’inverno è bello anche senza parabrezza. I raggi della nostra bici non sono come i raggi del sole, non temono eclissi di ruota, ci sono anche quando c’è nebbia o è nuvoloso, spesso anche di sera, spesso anche prima dell’alba.

Non lo facciamo per un particolare animo ambientalista e/o salutista. Con la bici andiamo a lavoro, o a qualche appuntamento. Non siamo contro gli autobus o le macchine, e nemmeno contro i treni o i motorini, l’unica cosa contro cui pedaliamo a volte è il vento, ma per il resto pedaliamo sempre a favore, e lo facciamo perché, semplicemente, ci piace.
In questa rubrica cercheremo di comunicarvi questa nostro piacere. Lo faremo scrivendo dei pensieri che si muovono a ritmo del pedale. Perché come disse la Volpe, anche se non era mai andata in bici, al piccolo principe: “Ecco il mio segreto. E’ molto semplice: non si pedala bene che col cuore. La strada è invisibile agli occhi“. O qualcosa del genere.

Michele e Giovanni

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