20th feb2013

La bici di Jennifer

by Francesca

Anna ha diciotto anni e si sente tanto sola, ha la faccia triste e non dice una parola, tanto è sicura che nessuno capirebbe e anche se capisse di certo la tradirebbe. 

Così cantava Eugenio Finardi diversi anni fa ne la musica ribelle, quella dove lui, molto milanesemente invitava a mollare le menate e mettersi a lottare.

Anche Alex ha diciotto anni e si sente tanto sola (ma in fondo forse non poi tanto), ma vive dall’altra parte dell’Oceano, in America e precisamente a Pittsburgh ed ancor più precisamente in un magazzino dismesso, con il suo enorme pitbull. Alex lavora come operaia di giorno e come ballerina in un locale di notte. Alex non si sente poi tanto sola perché ha un sogno. Il suo sogno è danzare all’accademia di ballo di Pittsburgh. Prova e riprova i passi, esercitandosi anche nelle sue esibizioni notturne ed ha un’insegnante che da sempre la incoraggia a realizzare il suo grande sogno. Un giorno, convinta di aver trovato la coreografia giusta si reca al Conservatorio per cercare di ottenere un’audizione per iscriversi ma immediatamente si accorge di non avere nessuna preparazione di base, poiché non ha mai frequentato una vera scuola e quindi, scoraggiata, rinuncia. Ci riproverà ed alla fine coronerà il suo sogno. Alex non è altro che Jennifer Beals, protagonista del film Flashdance. La famosa scena finale del film, con lei che cade e si rialza, con la giuria che prima è distratta e poi sempre più coinvolta nella musica e nella danza è stata ripresa anche da una celebre pubblicità. Alex/Jennifer è stata per me un punto importante nella mia educazione ciclistica. Magari qualcun altro sarà rimasto attratto dalle sue capacità artistiche, dalla sua avvenenza (Nanni Moretti compreso, qualche anno dopo quando fece fare a Jennifer una piccola apparizione nel film Caro Diario), ma io no!

Mi dispiace per gli altri, ma io rimasi affascinato dal fatto che Alex/Jennifer andava tutte le mattine a lavorare in fabbrica con la bici, con tutti i tempi ed in tutte le stagioni: così come Anna ascoltava la musica ribelle e mollava le menate per mettersi a pedalare, Alex/Jennifer andando in bici tutti i giorni trasformava la sua bici in una bici ribelle e mollava le menate per mettersi a pedalare. La sua era una bella bicicletta da corsa. Una bicicletta da corsa particolare, con un portapacchi sopra la ruota anteriore, dove lei sistemava il casco che le sarebbe servito a lavorare. Si tratta di una bicicletta che viene comunemente definita da corsa perché ha il manubrio delle biciclette da corsa, ma ha caratteristiche proprie delle biciclette da gran turismo o come dicono i francesi da gran randonneè. In genere ha il telaio in acciaio, più adatto per chi deve stare sul sellino per tante ore. Non si sono tanti modelli in commercio in Italia. Sono bici per lunghe distanze e cioè per chi pensa alla distanza e non al tempo che ci mette a percorrerla. Sono bici però adatte anche a percorsi cittadini e quotidiani. Insomma sono bici da usare come mezzo di locomozione i giorni feriali ed i giorni festivi. Per fare un giro la domenica o per andare a lavorare, in modo da provare sempre piacere, anche quando stai andando a fare il tuo dovere.

Sempre con la stessa bici.. Fedeli. Ed io ogni giorno che Dio mette in terra, al mattino quando parto in bici per andare al lavoro, penso a Jennifer Beals.

Giovanni Grossi

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13th feb2013

Finché ruggine non ci separi

by Francesca
Un giorno morirò, e so che non è un buon modo per iniziare un post, però succederà, sicuramente, come più o meno a tutti. Ma se avrò dei figli, e questi a loro volta avranno dei nipoti, vorrei che quest’ultimi parlando con i propri amici di qualcosa d’impossibile da fare nel loro slang quotidiano fatto di parolacce e imprecazioni inserissero una frase del tipo: se mio nonno c’avesse avuto le ruote sarebbe stato una mountain bike. Perché ho piena simpatia per le carriole e per i carretti, ma la bici mi piace di più. Non so spiegarne il motivo anche se credo che, per citare la Volpe del piccolo principe, alla fine sia stato tutto il tempo che ci ho passato insieme, o sopra, che ha fatto della bicicletta una cosa diversa da tutte le altre cose con le ruote.
La bicicletta era con me quando dovevo scappare dai bulli teste di cazzo del paese dove vivevo, e quando le ho prese le ha prese insieme a me ed è tornata col manubrio storto o le gomme bucate. Era con me anche quando giocavo a pallone nel campino della chiesa, se ne stava sdraiata nell’erba ad aspettarmi e a riflettere i raggi del sole sulla sua carrozzeria rossa fiammante. Mi è stata accanto anche quando sotto casa di Laura aspettavo la mia prima ragazza e il mio primo bacio, ed era sempre lì anche quando quel bacio è diventato uno schiaffo e Laura, la prima ragazza che mi ha lasciato. Ma a dire il vero non l’ho mai sentita così vicina come quando una 126 bucò uno stop e ci venne addosso e mi fece vedere la fine molto più imminente di quanto avrei mai voluto vedere a 12 anni. Insomma, lei era li anche in quel momento.
E vorrei dire che le cose tra noi sono sempre andate bene, ma in realtà c’è stato un periodo della mia vita in cui ci siamo persi di vista, l’ho tradita per una 4 ruote, l’ho lasciata per anni in uno stanzino a ricoprirsi di ragnatele e di ruggine, ma non ha avuto complessi d’inferiorità umani, ecco, è stata lì ad attendere. Non so, credo che se avessi tradito una ragazza con la seconda per una con una quarta, non credo che le cose oggi tra noi potrebbero funzionare. Ma con lei invece oggi vanno alla grande.
Ed ora il nostro rapporto è più maturo, non stiamo insieme solo per il piacere fisico, il nostro rapporto è fatto di responsabilità, stiamo insieme anche nelle difficoltà, anche quando piove, quando fa freddo, anche quando lei mi porta in un posto dove preferirei non andare. Siamo cresciuti, ci rispettiamo, c’è la passione ma anche la razionalità, c’è la mente ma anche il cuore. Siamo insieme nella buona e cattiva sorte, in salute e malattia, finché ruggine non ci separi.
Ed uno dei momenti migliori è quando siamo fuori, io e lei, la sera, e la luce dei lampioni ha strani riflessi sulle sue ruote e a pedalare sono più i miei pensieri che le gambe. La sua voce sulla strada sembra più dolce, calda e serena. Tutto intorno sembra lontano. E in quei momenti faccio strani pensieri sulla vita e sui nipoti e ogni tanto, capita che in cuffia mi arrivino canzoni come About today dei The National, e la ruggine sembra una cosa lontana, inesistente.

[Video: The National - About Today Lyrics]
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29th gen2013

La testa e il cuore

by Francesca
 Più o meno una lista delle cose che servono più o meno per andare in bici:
La testa e il cuore.
Certo.
Anche le gambe.
Ovviamente.
E gli occhi.
Ma soprattutto gli orecchi.
Si, gli orecchi, o le orecchie, dipende dal genere dei vostri timpani, io ho sempre pensato che i miei fossero femminili.
Quindi, le orecchie.
Ricapitolando.
Il cuore per decidere dove andare.
La testa per capire come fare.
Le gambe per dare muscoli ai desideri.
Gli occhi per vedere dove si va.
E le orecchie, soprattutto, per ascoltare buona musica mentre si pedala.
E’ una ricetta abbastanza semplice tutto sommato, ma la musica può essere un ingrediente fondamentale, che cambia molto il risultato. Che si pedali per andare a lavoro, a scuola, a comprare il giornale o semplicemente per macinare chilometri, la scelta degli mp3 da mettere dentro il proprio lettore può aiutare a non sentire la fatica, può essere benzina a costo zero. La musica che ha lasciato le due ruote delle musicassette per farsi prima ruota unica e splendente sul CD e poi diventare un qualcosa senza forma e senza peso ideale da portarsi in bici.
Così, la prima proposta ciclistico-musicale di questa rubrica è fatta proprio di cuore e di testa, The Head and the Heart, appunto, un gruppo che nasce a Seattle dove l’uso della bicicletta è segno di libertà, protesta e diritti civili, una città che dopo le difficoltà e la rabbia del grunge sembra aver trovato una dolce forma di affermazione della propria indipendenza musicale. Dolce come il girare delle due ruote quando si è persi nella propria mente..

[Video: Lost in my mind - The Head and The Heart]
 

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17th gen2013

Prime Visioni

by Francesca

 

Mi sono svegliato c’è una bicicletta che parte alle 6.40…ed io ci devo salire sopra. Non ho l’abitudine di guardare le previsioni meteorologiche. In ogni caso però a gennaio generalmente un po’ freddo fa. Sono già fuori in sella. Prima pedalata e prima canzone nell’iPod (stamani c’è Africa dei Toto; parto sempre con una canzone dei primi anni ottanta…mi ricorda quando avevo intorno ai venti anni).

E’ buio, fa freddo (non mi sbagliavo), ma dopo 100 metri di pedalate so già che non avrò più freddo. Infatti sul ponte sul Bisenzio le pedalate e l’Africa dei Toto fanno già il loro effetto. Nel centro storico di Campi ci sono solo camioncini in sosta per lo scarico delle merci, ma intorno ci sono solo le merci e non ci sono tracce del conducente-scaricatore. I primi esseri umani li trovo alla fermata dell’autobus all’altezza del bar Franco poco oltre piazza Dante. Son contento! Loro sono la testimonianza che il mondo è sopravvissuto alla notte. A dire il vero qualche dubbio che il mondo sia rimasto intatto dalla sera precedente mi viene alla rotonda in fondo a via Buozzi quando, in lontananza, vedo tutte illuminate delle enormi strane macchine di ferro che assomigliano ai tripodi del film la guerra dei mondi. Mi sento come Tom Cruise che stringe accanto a sè i suoi due figli per salvarli dall’attacco dei tripodi.. Nell’incertezza che nella notte ci sia stata veramente un’invasione di tripodi accelero sulla salita di ponte di Maccione. Mi calmo quando mi ricordo che quei tripodi in realtà non sono altro che delle gru in sosta nel parcheggio di un concessionario di macchine per l’edilizia. Dall’alto del ponte di Maccione la voce di Michael Stipe che canta “man on the moon” mi trasforma da ciclista che pedala sul grigio asfalto della strada dell’Osmannoro in un astronauta che pedala sul suolo beige della luna. Mi riporta sulla terra la vista casalinga della sagoma di case passerini. Sulla strada la vista delle luci rosse delle auto di fronte a me e di quelle bianche contro di me  mi trascinano per un attimo dentro un videogame.

Entro nella periferia di Campi Bisenzio (in fondo cos’è Firenze se non la periferia di Campi?). La bicicletta fila via che è un piacere. Ieri mattina c’erano dei cigolii strani che provenivano dalla catena, poi nel pomeriggio son passato da quel gran genio del mio amico che con un cacciavite in mano fa miracoli. In via Baracca trovo un po’ di traffico. Rallento. Ho la sensazione di essere già arrivato, ma non è così. Mi faccio forza ed all’altezza di via degli Allori decido di non adagiarmi sugli allori. Più avanti all’incrocio con via Baracchini  la vista della sede di Equitalia mi ricorda di aver qualcosa da pagare in arretrato. Per paura di essere beccato da un esattore di Equitalia scarto di lato come un bufalo in via del Barco piantando in asso Baracca e Baracchini. Alle Cascine il verde brillante del pratone del quercione e di quello delle cornacchie dimostrano in maniera lampante l’esistenza di dio. Le pedalate alimentano altre visioni di altri momenti vissuti alle Cascine, di concerti di Peter Gabriel, Lucio Dalla e Fabrizio De Andrè e di spettacoli dei Giancattivi e di Benigni in vecchie feste dell’Unità. Mi aspetta il semaforo della tramvia. Il passaggio della tramvia mi scaraventa felicemente in Europa. Attendo diligentemente il mio verde e poi riparto.

Sulla salitella della pista ciclabile che sovrasta il sottopasso di piazza Vittorio Veneto comincio a pregustarmi la visione dei lungarni: meno 3, 2, 1 eccoli! Alzo le mani dal manubrio e pedalo lentamente. Ora sono proprio arrivato! Sono le 7 e pochi minuti. Mi aspetta una nuova giornata di lavoro. In cuffia c’è una canzone di cui non ricordo bene le parole. Mi sembra faccia così: pedalare un po’ è come bere; più facile è respirare.

Giovanni

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